La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati

La missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati
Il territorio della missione di Bigene: 58 villaggi su 300 km quadrati, a nord della Guinea-Bissau e confinante con il Senegal.

30 novembre 2014

Storie di Bigene 14: "Il parto che non parte, le buche della strada e una nuova evangelizzazione".

Il parto che non parte, le buche della strada e una nuova evangelizzazione.

Questa ve la devo raccontare. Così imparerete a benedire le buche.
L’antefatto: da quasi un anno ci sono delle persone del villaggio di Kunaià che chiedono di entrare nella Chiesa Cattolica e chiedono la catechesi nel loro villaggio. Ci siamo ritrovati nel tempo di Natale dello scorso anno dopo una S. Messa celebrata a Bigene. Kunaià dista 3,5 chilometri da Bigene, vicino alla strada che va verso Farim. In quella occasione avevo suggerito che frequentassero la S. Messa a Bigene, e che si recassero alle catechesi che si tengono al villaggio di Tabadjam, abbastanza vicino al loro.
Poi vediamo cosa succede: il tempo per verificare la loro buona richiesta è necessario. Normalmente si inizia la prima evangelizzazione in un villaggio se vi è una richiesta sentita e se le persone dimostrano di volersi coinvolgere in un cammino che sarà lungo e impegnativo. Durante questo anno non sono accaduti dei segni particolari del loro coinvolgimento: qualcuno ha frequentato qualche volta la catechesi a Tabadjam, qualche altro ha frequentato anche la Messa domenicale a Bigene. Non ci siamo più ritrovati, ne sentiti. Forse doveva arrivare una occasione opportuna, e anch’io non ho posto una attenzione necessaria alla loro iniziale richiesta. Fino a lunedì scorso…
Lunedì scorso, dopo la Messa del mattino, arriva in chiesa un uomo tutto serio e preoccupato, chiedendo aiuto per la moglie che non riesce a partorire:  “Le donne hanno provato in tutti i modi, ma il parto non parte!”. Poche parole che dicono tutto. Torno a casa e prendo la macchina senza tanto pensarci. Se l’uomo è arrivato a piedi fino a Bigene per chiedere aiuto, il villaggio sarà vicino, e ho tempo a disposizione per questa altra vita che dobbiamo “far partire”. Partiamo con la macchia e chiedo a quale villaggio dobbiamo andare: Kunaià. A dire il vero, non mi è nemmeno passata per la mente la richiesta ricevuta lo scorso Natale… Il mio unico pensiero era di arrivare velocemente e poi ripartire, con calma, per far nascere il bambino dentro l’”ospedale” di Bigene. Nella mia mente non vi era spazio per altro.
Arrivati al villaggio, chiedo al papà del nascituro il percorso da compiere per arrivare il più vicino possibile alla sua casa. Non lo conosco questo villaggio. Ci sono passato poche volte. Ricordo che c’è una chiesa che appartiene alla Chiesa Nuova Apostolica, e ricordo di conoscere il maestro della scuola del villaggio: è N’Dani, della comunità cattolica di Bigene. Il papà è felice che sto arrivando con la macchina a prendere la sua sposa, e mi indica dove andare. La strada si fa sempre più stretta. Passata la scuola, mi indica di percorrere una stradina ricoperta da alta erba: si vede solo il tracciato stretto per il passaggio delle biciclette. Per tre volte gli chiedo se la macchina può entrare: non mi fido se non vedo dove devono passare le ruote. Per tre volte lui mi risponde che posso andare avanti, che non ci sono problemi. Lui pensa solo alla sua sposa, e che ne capisce di ruote sulla strada?
Dopo pochi metri la prima ruota di destra entra in una bella buca. Riesco a superarla ma ben nascosta è la seconda buca, che, manco a volerlo calcolare, blocca la prima ruota di destra, mentre la seconda ruota è entrata nella prima buca. Sembra uno scioglilingua! Insomma: le due ruote di destra sono incastrate esattamente dentro due buche, e la ruota di sinistra, dietro, è sollevata dal terreno. Nemmeno con le quattro ruote motrici riesco a spostarmi di un centimetro, né avanti né indietro.
E così, non c’è solo il parto che non parte, ma anche la macchina che non parte!!!!
Mi vengono i famosi 5 minuti….. e grido al poveretto le parole di circostanza…. “Corri subito a chiamare 20 uomini che vengano ad alzare la macchina, se vuoi che tua moglie arrivi in ospedale!”.
Quello scappa verso casa sua, ed io penso al mio errore di non essermi fermato prima, per guardare con i miei occhi il percorso da compiere. Dopo qualche minuto cominciano ad arrivare dei giovani muniti di alcuni miseri attrezzi agricoli. Arrivano anche le donne che accompagnano la partoriente. Poveretta come sta: non riesce a camminare e la tengono in piedi! Mi preoccupo anche di lei, facendola distendere in qualche modo su uno spazio libero dagli arbusti.
La macchina non parte e il parto non parte. Però, Signore, fai prima partire la mia macchina, che è meglio!
I giovani tentano di spingere la macchina in avanti, ma niente. Le buche sono belle fonde, e occorre togliere il terreno che blocca non solo le ruote, ma anche la parte sottostante il motore. Scava da una parte, metti dall’altra parte, legni secchi da collocare sotto la ruota rialzata, scavare sotto il motore e attorno alle ruote… sembravano degli artisti. Un po’ guardavo loro con ammirazione, e un po’ guardavo la mamma con preoccupazione.
Proviamo e riproviamo, ma niente, segezia non si muove. I “volontari” aumentano e cominciano a fare una bella confusione terribile, finché non arriva l’esperto del settore, che di macchine non ne capisce niente, ma di buche ne capisce tanto. Siccome è un anziano, i giovani lo ascoltano con più attenzione. Dirige tutti, e alla fine degli interventi mi dice: “Prova adesso!”. Provo, e la macchina parte! Finalmente è uscita dalle buche e faccio un giro largo per entrare nel campo sportivo. Portano di corsa la mamma partoriente, il papà si nasconde in mezzo agli altri (avrà paura che gli dica altre parole!), e sembra che siamo pronti per ritornare a Bigene. Sono tutti felici per il buon esito del “disbucamento” (si dice così?), quando mi arriva un bel tipetto che si era sporcato tutto di terra, tentando di aggiustare le buche con le sue stesse mani, e mi dice candidamente: “Padre, adesso che hai conosciuto il nostro villaggio, vieni a farci la catechesi?”.
“Adesso ho fretta, ne riparliamo!”. “Va bene padre, ti aspettiamo”.
Ma guarda cosa mi combina il Signore!
Mi sento in grande imbarazzo, ma nello stesso tempo sono felice. Quelle persone che mi hanno tolto la macchina dalle buche, sono le stesse che mi chiedono di diventare cristiane! E se non fossi entrato nelle buche, non ci sarebbe stata occasione di stare assieme alcuni minuti a sudare per uno scopo comune, a rincuorarci, a lavorare assieme per aiutare quella poveretta di mamma.
Non c’è veramente tempo per fermarmi a conversare con loro. Perché se la macchia, finalmente, parte, il parto ancora non parte! (e meno male!).
Il viaggio è tutto normale. La mamma si lamenta per i dolori, ma arriviamo in tempo. Consegnati tutti alla ostetrica, me ne ritorno a casa tranquillo, e pensando solo alle buche….
Nel pomeriggio passa a trovarmi N’Dani, il maestro di quel villaggio. Mi porta tutto contento un foglio con su scritti i nomi di una trentina di persone. Sono i nomi degli abitanti di Kunaià che chiedono la catechesi. Non hanno perso tempo: dopo che hanno fatto partire la macchina e avermi salutato, si sono riuniti e hanno raccolto i nomi.
Lo vedo come un messaggio chiaro, che attende una risposta.
Con N’Dani decidiamo che ritorno al villaggio oggi, per incontrarmi con loro con calma, e ascoltare bene le loro parole e i desideri dei cuori.
Ritorno oggi pomeriggio al villaggio di Kunaià. La strada la riconosco, e sto ben attento a non ripercorrere quel pezzo terribile già sperimentato. Con me vengono anche alcuni amici di Bigene, e le persone che ci aspettavano erano già pronte all'incontro. Un bel cortile ripulito dalle foglie, gli sgabelli preparati per tutti.
Ridiamo tutti felici ricordando l’affossamento di segezia e come l’abbiamo tirata fuori. Mi sembra quasi di conoscere già da tempo queste persone, tanto intensi sono stati quei minuti passati assieme per riportare la macchina sulla strada libera da buche.
Dopo le parole e i saluti di circostanza, andiamo subito al motivo del nostro incontro e chiedo direttamente ai presenti di dirmi perché mi chiedono di diventare cristiani, perché hanno questo desiderio nel loro cuore.
La situazione non è del tutto semplice. Sintetizzo: hanno deciso di abbandonare la Chiesa Nuova Apostolica (in realtà, sono loro che si sentono abbandonati da quella Chiesa) perché sperano in un aiuto più vero da parte della Chiesa Cattolica. E per aiuto intendono aiuto spirituale, nel senso di un accompagnamento reale nella conoscenza di Dio. Il pastore di quella chiesa va a trovarli due-tre volte all’anno, e a loro non basta più.
Ma c’è una cosa ancor più rilevante che scopro mentre parlano del loro desiderio di entrare nella Chiesa Cattolica. Queste persone non parlano di una scelta che desiderano compiere, e che chiedono a me. Parlano di una scelta già compiuta dentro i loro cuori. Non dicono: “vogliamo diventare cristiani”, ma “noi cattolici …”. Testimoniano tutti una scelta già compiuta, e parlano come se fossero già dentro la famiglia della nostra chiesa.
Da quando me ne hanno parlato lo scorso anno, per loro la scelta è già stata fatta! E di sicuro, il Signore che legge i cuori meglio di qualsiasi persona, vede la loro fede così semplice, eppure vera!
Sono stupito del loro modo di parlare: questi sono già cristiani! Alla fine del suo intervento, la signora più anziana mi chiede con tanta spontaneità: “Stiamo aspettando da un anno. Quanto tempo dobbiamo ancora aspettare?”. Me lo dice così bene, senza alcuna ombra di polemica, quasi con filiale rispetto, che dentro il mio cuore le rispondo “vengo domani!”.
L’incontro è vissuto con grande comunione e amicizia. Spiego che dovremo parlarne nel Consiglio Pastorale della parrocchia e con gli altri catechisti, ma con tutti questi segni così evidenti, anche questo villaggio avrà il suo catechista tra poco. Non so come faremo e chi potrà venire qui, ma qualcuno verrà. Non possiamo non rispondere! Questi sono cristiani che chiedono di diventare cristiani. Ma che belli che sono!!!!!
Insomma, avete capito? Spesso capita che le buche delle nostre strade (delle strade della Guinea-Bissau, ma anche di certe strade italiane) siano causa di “paroline” poco edificanti da parte nostra. Questa è la storia che ci insegna a guardare anche le buche stradali come una possibile benedizione del Signore! Se io non mi incastravo dentro quelle buche, non avrei avuto l’occasione di stare con quelle persone e di suscitare in loro l’incontro realizzato oggi, e che porterà ad iniziare una nuova evangelizzazione.
Sante buche!!!
Ops…. ci siamo dimenticati del parto che non parte!
Finito l’incontro ci rechiamo alla casa della mamma che ha partorito all’ospedale di Bigene. La mamma non c’è, è al lavoro nella risaia. La nonna, anziana e quasi tremante, esce dalla casa con una pargoletta tutta bella, avvolta in un bel panno colorato e con un ciuffo esagerato di capelli in testa. Ciao piccola, benvenuta! Perché, a parte le buche, sei tu la causa vera di questa nuova evangelizzazione. Ti benedico! Amen!

Arriva anche la mamma che sono andati a chiamare. Arriva di corsa. Quando è vicina le chiedo se sta bene e se è contenta della sua bella bambina. La sua risposta è un bel sorriso. Che il Signore benedica anche te, cara mamma. Hai sofferto in quei minuti di attesa, aspettando che i giovani tirassero fuori la macchina dalle buche, ma sapessi che benedizione è nata da quei minuti…
Bigene, 21 novembre 2014

6 settembre 2014

Storie di Bigene 13: "Un sacco di riso"

Un sacco di riso




Ho cercato di essere breve e coinciso, ma non ci sono riuscito più di così. Questa è la storia della consegna dei sacchi di riso, apparsa sul crocevia di questa settimana, per chi se la fosse persa....




Non credevo sarebbe stato così difficile.
Non è per niente facile iniziare a raccontare del viaggio in Guinea Bissau dal 12 al 26 agosto. Ci sarebbero così tante cose da dire anche del periodo pre-viaggio (per esempio i passaporti che non arrivavano da Roma o le valigie da preparare) e post-viaggio (per esempio la festa a sorpresa di "bentornati"), che è proprio difficile scegliere cosa dire in queste poche righe.
Il titolo però del articoletto dell'ultimo bollettino mi ha ricordato che c'è un debito da saldare con tutta la comunità (e non solo): dobbiamo raccontare della consegna dei sacchi di riso.

1. Gli antefatti.
Don Ivone prima del nostro viaggio, parlando in Curia a Bissau riceve il consiglio, non soltanto di visitare l'ospedale di Cumura, ma di andare anche in un piccolo villaggio lì accanto costruito per i malati di lebbra. Quando si va a far visita a qualcuno gli si porta sempre qualcosa; generi alimentari sono ben graditi e il riso è il piatto principale (nonché quasi unico) del paese. Ecco l'idea di portare un sacco di riso. Mi domanda di coinvolgere la Comunità in questo ed allora per tre settimane in chiesa durante l'offertorio, raccogliamo le buste. Nel frattempo anche Facebook si rivela strumento utile per la pubblicità e arrivano offerte da amici di don Ivone di Palermo e di Milano; inoltre anche noi viaggiatori abbiamo coinvolto i nostri amici e parenti.
Un po' alla volta la cifra raccolta cresce abbastanza: non sono più uno o due sacchi, ma ci avviciniamo ai 75...
Il giorno prima della partenza scrivo una mail a don Ivone: "siccome i soldi sono tanti, vuoi che faccia un bonifico e poi ci pensi tu a consegnarli?". La risposta: "No, no. Portateli voi direttamente, che li consegniamo ai frati veneti che servono la missione".
Con un po' di preoccupazione e i soldi nascosti e suddivisi in diversi piccoli posti e tra di noi, arriva anche la partenza. Finalmente. Ma questa è un'altra storia.

2. La visita.
Arriviamo in curia a Bissau direttamente dall'aeroporto intorno alle due e mezza di notte. Sorseggiando un bicchiere di acqua fresca prima del riposo, don Ivone ci dice che la mattina visiteremo subito l'ospedale, il villaggio e la missione dei frati.
Dopo poche ore, siamo nuovamente in piedi, pronti a partire. Il riposo non è stato dei migliori a causa della grande percentuale di umidità, ma la voglia di conoscere ed incontrare è tanta e vince anche sulla stanchezza. A colazione facciamo presente a don Ivone che la cifra raccolta è veramente alta; gli chiediamo se non sia il caso di dividerla anche con qualche altra realtà di carità del posto. Lui ci risponde che possiamo chiedere consiglio al Vescovo; subito dopo colazione infatti andiamo a presentarci e conoscere il "padrone di casa": il Vescovo dom José. Personalmente non ho potuto non pensare al nostro dom Giuseppe Foralosso, il cui nome in Brasile era proprio José. Il vescovo Josè ci accoglie molto calorosamente e ci fa subito una bella impressione. Gli raccontiamo un po' di noi e poi don Ivone gli narra la storia della raccolta per i sacchi di riso e gli chiede come procedere. Ci sono tante realtà caritative che potrebbero aver bisogno di un aiuto. Il vescovo si fa silenzioso per qualche istante e poi con la sua voce calma ci dice: "Portate pure ai frati di Cumura; anche perché se dovesse (ma preghiamo di no) arrivare anche in Guinea Bissau il virus dell'Ebola, quello è il centro che, più di altri, sarà sicuramente pronto all'accoglienza dei malati". Restiamo tutti ammirati dalla saggezza del pastore di questa Chiesa: in poche parole si è dimostrato veramente attento e capace di discernimento, un uomo che sorveglia dall'altro (episcopo) tutta la situazione della sua Chiesa.
Partiamo trepidanti, curiosi, timorosi, entusiasti con il fuoristrada di don Ivone verso l'ospedale. Ci accorgiamo, subito dopo la prima curva, di come il fuoristrada sia l'auto necessaria per guidare in Guinea Bissau: le strade (anche quando sono asfaltate) sono piene di buche (per non dire a volte voragini) e si "salta" molto. Ma questa è un'altra storia. Lungo il tragitto ci fermiamo a comprare due sacchi di riso per la consegna simbolica.

3. L'incontro.
Arriviamo finalmente a destinazione. Lasciamo la chiesa della missione sulla destra e ci addentriamo un po' in mezzo alla foresta. L'ospedale di Cumura è stato edificato negli anni '70 per volontà del vescovo Settimio Ferrazzetta (originario di Verona), primo Vescovo di Bissau: accoglie i malati del morbo di Hansen (lebbra) e malati di tubercolosi, oltre che ultimamente anche malati di AIDS. La lebbra è una malattia che è ancora molto diffusa nei paesi più poveri ma dalla quale si può tranquillamente guarire. Con una cura di trenta giorni si guarisce: ovviamente è necessario iniziare subito la cura, appena compaiono i primi sintomi (delle macchie chiare sulla pelle). Purtroppo se si arriva tardi e la malattia ha intaccato piedi o mani, il corpo resterà segnato. La grande difficoltà nella cura è proprio convincere le persone ad andare in ospedale: la gente infatti è molto reticente e si affida principalmente a "curanderos" una specie di santoni che con rimedi "tradizionali" dicono di riuscire a curare tutte le malattie. Questo non è vero e quando finalmente un malato si decide ad andare in ospedale è troppo tardi e la malattia ha iniziato il suo percorso. Nei giorni successivi avremo modo di constatare più volte i "danni" di questa mentalità. Visitiamo la struttura, incontriamo un anziano ammalato insieme a due ragazzini e ci mettiamo a parlare un po' con loro. Ma questa è un'altra storia.




Appena fuori dell'ospedale, in mezzo ad una foresta di Cadjù (albero simbolo della Guinea Bissau, il cui frutto sono gli anacardi), raggiungiamo il villaggio. è stato costruito proprio per accogliere i malati di lebbra, ormai guariti ma che non sono più accettati nei loro villaggi perché sono "diversi" (la malattia, mangiando il corpo, fa paura); essi vivono lì con i loro figli, che sono sani, perché il morbo non si trasmette e non è contagioso. L'incontro è stato prima di tutto con i bambini che, quando sentono arrivare un carro (auto in criolo) corrono sempre incontro per far festa. Poi da loro ci siamo fatti accompagnare dal capo villaggio; egli è l'autorità più importante di tutto il villaggio; è lui a decidere su tutte le questioni riguardanti la vita comunitaria ed è lui che si va a salutare e presentarsi. Don Ivone ha raccontato la storia dei sacchi e il coinvolgimento del nostro "villaggio"; sono stati ovviamente molto contenti del dono ricevuto, anche perché molti di loro non possono lavorare e quindi sostenere le famiglie. 



Non è stato facile andar via dal villaggio, vuoi perché i bambini non smetterebbero mai di giocare, di farsi abbracciare e di accarezzare le braccia pelose di noi "branca" (bianchi), vuoi perché il senso di gratitudine che gli abitanti esprimevano era grande. Raggiungiamo la missione dei frati, fermandoci prima a visitare un reparto di maternità per madri sieropositive dell'ospedale (ma questa è un'altra storia). In casa è presente solo fra' Silvano, anche lui originario del Veronese, che ci accoglie e ci offre da bere. Sorseggiando del buon succo di frutta, raccontiamo la storia e gli consegniamo la busta con i soldi raccolti: sono 3.135 € raccolti in tutto, pari a 127 sacchi di riso. In ospedale ogni giorno si cuociono tra i 20 e i 30 chili di riso, per cui i pasti sono assicurati per circa 200 giorni. Ovviamente lasciamo ai frati la scelta su come investire tutti quei soldi.
E' ora di pranzo ormai; saliamo in auto e sobbalzando tra un buca e l'altra torniamo in curia per il pranzo, grati per la mattinata vissuta e pronti ad un nuovo emozionante incontro nel pomeriggio.
Ma questa è un'altra storia.


don Mattia Biasiolo
Cervarese S. Croce (Padova), 2 settembre 2014

29 agosto 2014

Storie di Bigene 12: "Emergenza Ebola... ma non in Guinea Bissau!"

Emergenza Ebola... ma non in Guinea Bissau!


Sì perché l’ebola non c’è in Guinea-Bissau! La Guinea-Bissau ha tantissimi problemi, ma nessun malato e  nessun morto per ebola. Quando i giornali dicono che c’è l’ebola in Guinea stanno mentendo? No, l’ebola c’è, ma in Guinea-Conakry, che nulla ha a che fare con la Guinea-Bissau.

DOV’È L’EBOLA

Nella mappa seguente, aggiornata al 25 agosto 2014, potete vedere dove sono stati registrati i casi di ebola e con che intensità e dove sono invece Bissau (a più di 200 km) e Bigene (più di 300 km). I paesi coinvolti sono Guinea-Conakry, Sierra Leone e Liberia (Nigeria solo negli ultimi giorni).




Come dicevo in linea d’aria siamo a più di 200 chilometri da Bissau, capitale della Guinea-Bissau, e 300 chilometri da Bigene. Se poi consideriamo le strade che collegano Bissau e Bigene alle aree colpite dall’ebola i chilometri sono molti di più e su strade che sono poco più che sentieri, non certo autostrade. L’unica strada asfaltata della Guina Bissau collega Bissau a Dakar, la capitale del Senegal a nord. Poi quasi nessuno possiede un’auto, la maggior parte si sposta a piedi, in bici o in camion-corriere.  Verso sud, verso la Guinea-Conakry, dove c’è la foresta equatoriale, gli scambi però sono minimi, azzerati adesso con il pericolo ebola.




Strade e traffico tipici della Guinea Bissau. Gli spostamenti non sono per nulla agevoli né rapidi.


In Guinea-Bissau per evitare di creare occasioni di diffusione del virus sono stati annullati tutti i mercati e tutti gli incontri pubblici. Anche la Chiesa non organizza più incontri con riunioni di persone al di fuori del proprio territorio parrocchiale. Tutte misure precauzionali e non perché vi sia un reale pericolo ebola in corso in Guinea-Bissau.


Andamento nel tempo dei casi di ebola nei vari Paesi coinvolti



COS’È L’EBOLA

A rendere molto improbabile l’arrivo dell’ebola in Guinea-Bissau contribuiscono anche le caratteristiche del virus. Dal contagio ai primi sintomi passano normalmente 5-10 giorni, al massimo 20. La malattia dura 7-14 giorni al massimo e nel ceppo attualmente attivo più del 50% dei casi è purtroppo mortale. Che un malato di ebola abbia il tempo di allontanarsi da dove è stato contagiato è quindi altamente improbabile, a meno che non usi l’aereo. Ma non ci sono collegamenti aerei dei Paesi colpiti con la Guinea-Bissau dove l’unico volo che atterra arriva dal Marocco, e poco altro.  Il virus è molto aggressivo, provoca febbre molto alta ed emorragie, come già accennato, spesso mortali. Ma rimanere infettati non è affatto semplice. Infatti si deve entrare in contatto con i fluidi dei malati (sangue, feci, sudore, saliva) ma non basta toccarli: devono entrare nel nostro corpo per infettarci. Quindi ciò avviene solo attraverso la bocca, gli occhi o possibili ferite. Il contagio per via aerea come un normale raffreddore è impossibile. E infatti stiamo parlando di "soli" 3000 morti dal 1976, quando è stata osservata per la prima volta, in Congo (ex Zaire) di cui però quasi 1500 nell’ultimo anno. Paradossalmente, così tanti casi nell’ultimo anno per gli stessi motivi che invece ne rendono improbabili il diffondersi verso la Guinea-Bissau. I paesi colpiti sono molto popolosi, colpiti per la prima volta dal virus e quindi sono mancate le precauzioni che avrebbero limitato il contagio (come evitare di baciare e lavare i corpi dei morti). Riguardando la cartina potrete intuire che il virus si è manifestato all’inizio nel sud della Guinea-Conakry, dove si sono avuti la maggior parte dei morti, e poi si è propagato lungo le direttrici delle strade e verso le capitali dei 3 paesi colpiti. Il rapido manifestarsi dei sintomi, e purtroppo della morte, hanno comunque limitato geograficamente l’insorgere della malattia.



Casi di ebola nel mondo dal 1976 (prima manifestazione del virus) ad oggi

Ho detto "soli" 3000 mila morti dal 1976. Per dare maggiore peso al fatto che sono veramente pochi considerate che, per esempio, la malaria registra ogni anno nel mondo 500 milioni di casi clinici (il 90% nell’Africa Tropicale) e uccide tra 600mila e 1 milione di persone all’anno. Nessuno di questi morti è europeo, neanche di quelli che vengono in Africa, perché la malaria diventa mortale per persone deboli per altre malattie o per la fame. E comunque, anche per la malaria, bastano pochi accorgimenti per evitare il contagio, tant’è che nessuno degli ospiti che abbiamo avuto a Bigene l’ha mai contratta. L’ebola a confronto è quindi una malattia molto più rara e molto meno infettiva della malaria, ma l’alta mortalità ha creato la psicosi attuale per cui si tende ad avere paura dell’ebola anche dove e quando non ci sarebbe nulla o poco da temere come, ribadisco, in Guinea-Bissau.


L’EBOLA IN ITALIA

Un’ultima considerazione sui rischi che l’ebola possa giungere anche in Italia, magari dagli immigrati che sbarcano dalla Libia. Avrete già capito che i rischi sono praticamente nulli. Sicuramente nulli da parte degli immigrati clandestini: queste povere persone, per giungere in Italia, ci mettono mesi ad attraversare prima il deserto, poi  imbarcarsi in Libia e quindi giungere in Italia. Le persone ammalate non ce la farebbero mai ad arrivare in Italia, dato che dall’infezione all’esaurirsi della malattia passano pochi giorni. Anche l’arrivo dell’ebola per via aerea è molto improbabile, dato che non ci sono collegamenti diretti tra l’Italia e i Paesi colpiti. Più probabile che il virus arrivi in Francia, Inghilterra, Nigeria (come già successo) e gli altri Paesi del mondo che hanno dei collegamenti aerei diretti con questi Paesi. I sistemi sanitari di questi paesi sono, però, molto meglio attrezzati per controllare eventuali casi che dovessero manifestarsi.

CONCLUSIONI

Il messaggio è per tutti gli "Amici" della Guinea-Bissau: sono gli amici delle nostre Missioni e dei nostri missionari. Molte persone confondono la Guinea con la Guinea-Bissau. I mezzi di comunicazione in Italia non sono capaci di distinguere i due paesi, con il risultato che in tanti sono convinti che l’ebola sia presente nella Guinea-Bissau. Ma non è così! In Guinea-Bissau non ci sono casi di infezioni di ebola, e stiamo adoperandoci per prevenire questo virus pericoloso, informando la popolazione sulle norme igieniche e alimentari, evitando riunioni e assemblee, promovendo una maggiore attenzione verso la popolazione. I confini con la Guinea-Conakry sono stati ufficialmente chiusi, anche se i nostri confini, lo sanno tutti, sono molto "aperti". L’emergenza richiede attenzioni e aiuti a livello della prevenzione dell’ebola e della cura degli altri ammalati. Tutti i missionari sono ben presenti nel territorio e cerchiamo di aiutare la nostra popolazione in questo momento di preoccupazione. Confidiamo nell’aiuto di chi sta studiando questo virus per poterlo curare e debellare. E confidiamo nel sostegno di tanti "Amici" che ci conoscono e ci seguono: la "nostra" Guinea-Bissau ci aspetta come gli sguardi dei nostri bambini, sempre aperti ed accoglienti, pronti a fare festa per il nostro passaggio in mezzo a loro. 






E che il Signore possa continuare a benedirci tutti!

don Ivo Cavraro, Missione di Bigene, Guine-Bissau.
27 agosto 2014



A poche ore di distanza da questo mio contributo, e da poche migliaia di chilometri dalla Guinea-Bissau, ricevo questa toccante testimonianza di un caro amico conosciuto a Bissau, ora missionario in Sierra Leone, nella cittadina di Lunsar: padre Pierangelo Valerio, originario di Montecchio Maggiore (Vicenza), dei Padri Giuseppini del Murialdo.





Se in Guinea-Bissau siamo preoccupati, attenti, ma non allarmati, in Sierra Leone la situazione è drammatica. Mi sembra onesto trasmettere anche queste testimonianze dei missionari di quelle terre, e concludere con una doverosa preghiera.




La ragazza nella foto si chiama MABINTY. Frequentava la 3 classe della Junior Secondary School Maria Ines a Lunsar. Era attiva nella mia comunità cristiana di Marampa "Holy Cross" Church. Faceva parte del Gruppo Giovanile e del coro della chiesa. 
Mabinty è una delle oltre 35 vittime dell'epidemia di Ebola del "Marampa Compound" di Lunsar, dove io vado a celebrare ogni domenica. 
Da domenica scorsa la celebrazione della S. Messa è stata sospesa in attesa che la situazione cambi, per evitare altri contagi. Oltre 35 morti e le autorità dove sono? Chi è venuto a fare un test a queste persone?  Qualcuno ha avuto accesso alle cure nei due centri nazionali predisposti per combattere l'ebola? E' vero che la gente nega l'esistenza di questo flagello, che nasconde gli ammalati nella foresta, che tenta di ricorrere ai guaritori tradizionali, diversi dei quali, contaminati a loro volta, hanno perso la loro vita, è vero che esorcizzano la paura dell'epidemia con strane storie tradizionali di streghe e sortilegi e sacrifici, che non sarebbero stati fatti, provocando la reazione delle streghe... ma LE AUTORITA' DOVE STANNO??? 
perché LI hanno, CI hanno abbandonati?  
Eppure dei soldi per contrastare il morbo mortale stanno girando... in quali tasche di fermano? Qualche mese fa nell'allevamento di galline ovaiole dell'ENGIM nella nostra "farm", c'è stata una epidemia e il 75% degli animali (quasi 200 su 250) sono morti... mi pare che la situazione attuale sia analoga: che lascino morire la gente quasi come fossero galline! Scusate il contrasto, ma sono veramente angosciato e indignato! Da oltre 15 giorni non sfioro più una persona, non una stretta di mano,  non una pacca sulle spalle o una paffutella sulla guancia, non una carezza... La chiesa è stata chiusa, in quarantena...  da ieri anche qualche villaggio pare comincino a metterlo in quarantena... chissà che dopo tanti morti qualcosa cominci a smuoversi... 
Lo scorso anno, durante questa ultima settimana di agosto, stavamo facendo le attività estive con i bambini; tempo di formazione, di condivisione, di festa e di gioia. E da lunedì scorso anche il tempo è cambiato e le piogge sono cessate o sono molto più rade. Sarebbe stato eccezionale! 
Oggi invece di sentire gli schiamazzi festosi dei nostri bambini,  aspettiamo ogni mattina il più aggiornato "bollettino di guerra" dal compound: "Quanti se ne sono andati ieri e stanotte?" Non resta che una preghiera "Signore, guarda quaggiù".













16 maggio 2014

Camminare con la Chiesa 20: omelia di Padre Cantalamessa, Venerdì Santo 2014

Inserisco questa omelia di Padre Cantalamessa nel mio blog. A me ha fatto molto bene. La condivido perché possa fare bene anche a altri amici. L'omelia è stata donata durante la celebrazione del Venerdì Santo, in San Pietro, alla presenza di Papa Francesco.





OMELIA DI PADRE RANIERO CANTALAMESSA,
Basilica di San Pietro
Venerdì Santo, 18 aprile 2014


Dentro la storia divino-umana della passione di Gesù ci sono tante piccole storie di uomini e di donne entrati nel raggio della sua luce o della sua ombra. La più tragica di esse è quella di Giuda Iscariota. È uno dei pochi fatti attestati, con uguale rilievo, da tutti e quattro i vangeli e dal resto del Nuovo Testamento. La primitiva comunità cristiana ha molto riflettuto sulla vicenda e noi faremmo male a non fare altrettanto. Essa ha tanto da dirci.
Giuda fu scelto fin dalla prima ora per essere uno dei dodici. Nell’inserire il suo nome nella lista degli apostoli l’evangelista Luca scrive «Giuda Iscariota che divenne (egeneto) il traditore» (6, 16). Dunque Giuda non era nato traditore e non lo era al momento di essere scelto da Gesù; lo divenne! Siamo davanti a uno dei drammi più foschi della libertà umana.



Perché lo divenne? In anni non lontani, quando era di moda la tesi del Gesù «rivoluzionario», si è cercato di dare al suo gesto delle motivazioni ideali. Qualcuno ha visto nel suo soprannome di «Iscariota» una deformazione di «sicariota», cioè appartenente al gruppo di zeloti estremisti che agivano da «sicari» contro i romani; altri hanno pensato che Giuda fosse deluso dal modo con cui Gesù portava avanti la sua idea del «regno di Dio» e che volesse forzargli la mano ad agire anche sul piano politico contro i pagani. È il Giuda del celebre musical Jesus Christ Superstar e di altri spettacoli e romanzi recenti. Un Giuda che si avvicina a un altro celebre traditore del proprio benefattore: Bruto che uccise Giulio Cesare per salvare la Repubblica!



Sono ricostruzioni da rispettare quando rivestono qualche dignità letteraria o artistica, ma non hanno alcun fondamento storico. I vangeli — le uniche fonti attendibili che abbiamo sul personaggio — parlano di un motivo molto più terra terra: il denaro. A Giuda era stata affidata la borsa comune del gruppo; in occasione dell’unzione di Betania aveva protestato contro lo spreco del profumo prezioso versato da Maria sui piedi di Gesù, non perché gli importasse dei poveri, fa notare Giovanni, ma perché «era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (12, 6). La sua proposta ai capi dei sacerdoti è esplicita: «Quanto siete disposti a darmi, se io ve lo consegno? Ed essi gli fissarono trenta sicli d’argento» (Matteo, 26, 15).
Ma perché meravigliarsi di questa spiegazione e trovarla troppo banale? Non è stato forse quasi sempre così nella storia e non è ancora oggi così? Mammona, il denaro, non è uno dei tanti idoli; è l’idolo per antonomasia; letteralmente, «l’idolo di metallo fuso» (cfr. Esodo, 34, 17). E si capisce il perché. Chi è, oggettivamente, se non soggettivamente (cioè nei fatti, non nelle intenzioni), il vero nemico, il concorrente di Dio, in questo mondo? Satana? Ma nessun uomo decide di servire, senza motivo, Satana. Se lo fa, è perché crede di ottenere da lui qualche potere o qualche beneficio temporale. Chi è, nei fatti, l’altro padrone, l’anti-Dio, ce lo dice chiaramente Gesù: «Nessuno può servire a due padroni: non potete servire a Dio e a Mammona» (Matteo, 6, 24). Il denaro è il «dio visibile» (W. Shakespeare, Timone d’Atene, atto iv, sc. 3.), a differenza del Dio vero che è invisibile.
Mammona è l’anti-dio perché crea un universo spirituale alternativo, cambia oggetto alle virtù teologali. Fede, speranza e carità non vengono più riposte in Dio, ma nel denaro. Si attua una sinistra inversione di tutti i valori. «Tutto è possibile a chi crede», dice la Scrittura (Marco, 9, 23); ma il mondo dice: «Tutto è possibile a chi ha il denaro». E, a un certo livello, tutti i fatti sembrano dargli ragione.
«L’attaccamento al denaro — dice la Scrittura — è la radice di tutti i mali» (1 Timoteo, 6, 10). Dietro ogni male della nostra società c’è il denaro, o almeno c’è anche il denaro. Esso è il Moloch di biblica memoria, a cui venivano immolati giovani e fanciulle (cfr. Geremia, 32, 35), o il dio Azteco, cui bisognava offrire quotidianamente un certo numero di cuori umani.



Cosa c’è dietro il commercio della droga che distrugge tante vite umane, lo sfruttamento della prostituzione, il fenomeno delle varie mafie, la corruzione politica, la fabbricazione e il commercio delle armi, e perfino — cosa orribile a dirsi — alla vendita di organi umani tolti a dei bambini? E la crisi finanziaria che il mondo ha attraversato e che questo Paese sta ancora attraversando, non è dovuta in buona parte all’«esecranda bramosia di denaro», l’auri sacra fames, (Virgilio, Eneide, 3. 56-57) da parte di pochi? Giuda cominciò con sottrarre qualche denaro dalla cassa comune. Dice niente questo a certi amministratori del denaro pubblico?
Ma senza pensare a questi modi criminali di accumulare denaro, non è già scandaloso che alcuni percepiscano stipendi e pensioni cento volte superiori a quelli di chi lavora alle loro dipendenze e che alzino la voce appena si profila l’eventualità di dover rinunciare a qualcosa, in vista di una maggiore giustizia sociale?
Negli anni Settanta e Ottanta, per spiegare, in Italia, gli improvvisi rovesciamenti politici, i giochi occulti di potere, il terrorismo e i misteri di ogni genere da cui era afflitta la convivenza civile, si andò affermando l’idea, quasi mitica, dell’esistenza di un «grande Vecchio»: un personaggio scaltrissimo e potente che da dietro le quinte avrebbe mosso le fila di tutto, per fini a lui solo noti. Questo «grande Vecchio» esiste davvero, non è un mito; si chiama Denaro!
Come tutti gli idoli, il denaro è «falso e bugiardo»: promette la sicurezza e invece la toglie; promette libertà e invece la distrugge. San Francesco d’Assisi descrive, con una severità insolita, la fine di una persona vissuta solo per aumentare il suo «capitale». Si avvicina la morte; si fa venire il sacerdote. Questi chiede al moribondo: «Vuoi il perdono di tutti i tuoi peccati?», e lui risponde di sì. E il sacerdote: «Sei pronto a soddisfare ai torti commessi, restituendo le cose che hai frodato ad altri?». Ed egli: «Non posso». «Perché non puoi?». «Perché ho già lasciato tutto nelle mani dei miei parenti e amici». E così egli muore impenitente e appena morto i parenti e gli amici dicono tra loro: «Maledetta l’anima sua! Poteva guadagnare di più e lasciarcelo, e non l’ha fatto!» (cfr. San Francesco, Lettera a tutti i fedeli 12, Fonti Francescane, 205).



Quante volte, di questi tempi, abbiamo dovuto ripensare a quel grido rivolto da Gesù al ricco della parabola che aveva ammassato beni a non finire e si sentiva al sicuro per il resto della vita: «Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?» (Luca, 12, 20)!». Uomini collocati in posti di responsabilità che non sapevano più in quale banca o paradiso fiscale ammassare i proventi della loro corruzione si sono ritrovati sul banco degli imputati, o nella cella di una prigione, proprio quando stavano per dire a se stessi: «Ora godi, anima mia». Per chi l’hanno fatto? Ne valeva la pena? Hanno fatto davvero il bene dei figli e della famiglia, o del partito, se è questo che cercavano? O non hanno piuttosto rovinato se stessi e gli altri? Il dio denaro si incarica di punire lui stesso i suoi adoratori.
Il tradimento di Giuda continua nella storia e il tradito è sempre lui, Gesù. Giuda vendette il capo, i suoi seguaci vendono il suo corpo, perché i poveri sono membra di Cristo. «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Matteo, 25, 40). Ma il tradimento di Giuda non continua solo nei casi clamorosi che ho evocato. Sarebbe comodo per noi pensarlo, ma non è così. È rimasta famosa l’omelia che tenne un Giovedì santo don Primo Mazzolari su «Nostro fratello Giuda». «Lasciate — diceva ai pochi parrocchiani che aveva davanti — che io pensi per un momento al Giuda che ho dentro di me, al Giuda che forse anche voi avete dentro».
Si può tradire Gesù anche per altri generi di ricompensa che non siano i trenta denari. Tradisce Cristo chi tradisce la propria moglie o il proprio marito. Tradisce Gesù il ministro di Dio infedele al suo stato, o che invece di pascere il gregge pasce se stesso. Tradisce Gesù chiunque tradisce la propria coscienza. Posso tradirlo anch’io, in questo momento — e la cosa mi fa tremare — se mentre predico su Giuda mi preoccupo dell’approvazione dell’uditorio più che di partecipare all’immensa pena del Salvatore. Giuda aveva un’attenuante che noi non abbiamo. Egli non sapeva chi era Gesù, lo riteneva solo «un uomo giusto»; non sapeva che era il Figlio di Dio, noi sì.
Come ogni anno, nell’imminenza della Pasqua, ho voluto riascoltare la Passione secondo San Matteo di Bach. C’è un dettaglio che ogni volta mi fa trasalire. All’annuncio del tradimento di Giuda, lì tutti gli apostoli domandano a Gesù: «Sono forse io, Signore?» «Herr, bin ich’s?». Prima però di farci ascoltare la risposta di Cristo, annullando ogni distanza tra l’evento e la sua commemorazione, il compositore inserisce un corale che inizia così: «Sono io, sono io il traditore! Io devo fare penitenza!», «Ich bin’s, ich sollte büßen». Come tutti i corali di quell’opera, esso esprime i sentimenti del popolo che ascolta; è un invito a fare anche noi la nostra confessione di peccato.
Il vangelo descrive la fine orrenda di Giuda: «Giuda, che l’aveva tradito, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì, e riportò i trenta sicli d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: Ho peccato, consegnandovi sangue innocente. Ma essi dissero: Che c’importa? Pensaci tu. Ed egli, buttati i sicli nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi» (Matteo, 27, 3-5). Ma non diamo un giudizio affrettato. Gesú non ha mai abbandonato Giuda e nessuno sa dove egli è caduto nel momento in cui si è lanciato dall’albero con la corda al collo: se nelle mani di Satana o in quelle di Dio. Chi può dire cosa è passato nella sua anima in quegli ultimi istanti? «Amico», era stata l’ultima parola rivoltagli da Gesù nell’orto ed egli non poteva averla dimenticata, come non poteva aver dimenticato il suo sguardo.
È vero che, parlando al Padre dei suoi discepoli, Gesú aveva detto di Giuda: «Nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione» (Giovanni, 17, 12), ma qui, come in tanti altri casi, egli parla nella prospettiva del tempo non dell’eternità. Anche l’altra parola tremenda detta di Giuda: «Meglio sarebbe per quell’uomo se non fosse mai nato» (Marco, 14, 21) si spiega con l’enormità del fatto, senza bisogno di pensare a un fallimento eterno. Il destino eterno della creatura è un segreto inviolabile di Dio. La Chiesa ci assicura che un uomo o una donna proclamati santi sono nella beatitudine eterna; ma di nessuno essa stessa sa che è certamente all’inferno.
Dante Alighieri, che, nella Divina Commedia, colloca Giuda nel profondo dell’inferno, narra della conversione all’ultimo istante di Manfredi, figlio di Federico ii e re di Sicilia, che tutti a suo tempo ritenevano dannato perché morto scomunicato. Ferito a morte in battaglia, egli confida al poeta che, nell’ultimo istante di vita, si arrese piangendo a colui «che volentier perdona» e dal Purgatorio manda sulla terra questo messaggio che vale anche per noi: «Orribil furon li peccati miei; ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei» (Purgatorio, III, 118-123).
Ecco a cosa deve spingerci la storia del nostro fratello Giuda: ad arrenderci a colui che volentieri perdona, a gettarci anche noi tra le braccia aperte del crocifisso. La cosa più grande nella vicenda di Giuda non è il suo tradimento, ma la risposta che Gesú dà a esso. Egli sapeva bene cosa stava maturando nel cuore del suo discepolo; ma non lo espone, vuole dargli la possibilità fino all’ultimo di tornare indietro, quasi lo protegge. Sa perché è venuto, ma non rifiuta, nell’orto degli ulivi, il suo bacio di gelo e anzi lo chiama amico (Matteo, 26, 50). Come cercò il volto di Pietro dopo il rinnegamento per dargli il suo perdono, chissà come avrà cercato anche quello di Giuda in qualche svolta della sua via crucis! Quando dalla croce prega: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca, 23, 34), non esclude certamente da essi Giuda.
Che faremo dunque noi? Chi seguiremo, Giuda o Pietro? Pietro ebbe rimorso di quello che aveva fatto, ma anche Giuda ebbe rimorso, tanto che gridò: «Ho tradito sangue innocente!» e restituì i trenta denari. Dov’è allora la differenza? In una cosa sola: Pietro ebbe fiducia nella misericordia di Cristo, Giuda no! Il più grande peccato di Giuda non fu aver tradito Gesú, ma aver dubitato della sua misericordia.
Se lo abbiamo imitato, chi più chi meno, nel tradimento, non lo imitiamo in questa sua mancanza di fiducia nel perdono. Esiste un sacramento nel quale è possibile fare una esperienza sicura della misericordia di Cristo: il sacramento della riconciliazione. Quanto è bello questo sacramento! È dolce sperimentare Gesù come maestro, come Signore, ma ancora più dolce sperimentarlo come Redentore: come colui che ti tira fuori dal baratro, come Pietro dal mare, che ti tocca, come fece con il lebbroso, e ti dice: «Lo voglio, sii guarito!» (Matteo, 8, 3).
La confessione ci permette di sperimentare su di noi quello che la Chiesa dice del peccato di Adamo nell’Exultet pasquale: «O felice colpa che ci ha meritato un tale Redentore!». Gesù sa fare di tutte le colpe umane, una volta che ci siamo pentiti, delle «felici colpe», delle colpe che non si ricordano più se non per l’esperienza di misericordia e di tenerezza divina di cui sono state occasione!
Ho un augurio da fare a me e a tutti voi, venerabili padri, fratelli e sorelle: che il mattino di Pasqua possiamo destarci e sentire risuonare nel nostro cuore le parole di un grande convertito del nostro tempo, il poeta e drammaturgo Paul Claudel:
«Mio Dio, sono risuscitato e sono ancora con Te! Dormivo ed ero steso come un morto nella notte. Hai detto: “Sia la luce!” E io mi sono svegliato come si getta un grido! [...] Padre mio che mi hai generato prima dell’Aurora, sono alla tua presenza. Il mio cuore è libero e la bocca mondata, corpo e spirito sono a digiuno. Sono assolto di tutti i peccati, che ho confessati uno ad uno. L’anello nuziale è al mio dito e il mio volto è pulito. Sono come un essere innocente nella grazia che mi hai concessa» (P. Claudel, Prière pour le Dimanche matin, in Œuvres poétiques, Gallimard, Paris, 1967, p. 377).
Questo può fare di noi la Pasqua di Cristo.

16 aprile 2014

Diario 26: Cristo Parola per una nuova Africa


14 Gennaio 2014
L'anno nuovo è iniziato con nuove prospettive di evangelizzazione: dal villaggio di Kunaià sono venute varie persone alla S. Messa a Bigene, chiedendo di poter entrare nella Chiesa Cattolica. E dal villaggio di Saiam Mandinga sono venute alcune persone alla prima evangelizzazione che si tiene a Sanò 2. Sale così a 34 il numero complessivo dei villaggi che ricevono la nostra evangelizzazione (su 58): 21 i villaggi che accolgono il catechista in mezzo alle loro abitazioni, 13 i villaggi che si recano a ricevere l'evangelizzazione nel villaggio vicino. Di questi ultimi, il villaggio di Samudje in questo mese inizierà la prima evangelizzazione al proprio interno (22 villaggi ricevono evangelizzazione diretta e 12 si recano vicino). Mi sembra che siano segni del Signore che rallegrano i cuori. E chiediamo forza allo Spirito: la nostra missione è, prima di tutto, prima di noi, prima di qualsiasi persona o cosa, SUA.
La cartina geografica aggiornata di Bigene e dei suoi 58 villaggi. Un grazie particolare a Giorgio Parise per la realizzazione, e un saluto speciale agli amici che hanno potuto visitare questa terra.









21 Gennaio 2014
IL CIELO TI HA MANDATO.
Come saluto ricevuto, devo dire che è veramente bello e appassionante. Ma sentirmi dire queste parole da un anziano capo-villaggio, dopo che lo incontro per la prima volta e mi presento spiegandogli perché ho iniziato la prima evangelizzazione nel villaggio accanto, e chiedendogli se non ha difficoltà se alcuni dei suoi giovani frequentano la mia catechesi.... e sentirmi dire queste esatte parole da lui che è musulmano.... Mi è venuta la pelle d'oca! Uno dei giorni più belli di questi (quasi) sei anni di missione. Lo devo elaborare bene questa notte, e domani la racconto questa storia. Intanto ringrazio Dio che continua a donarmi persone come questo uomo grande, sofferente nel corpo poco curato, ma splendido nella sua fraternità.

22 Gennaio 2014
Bene, e oggi cosa è accaduto? Incredibile.
Ieri, questo bravo capo-villaggio di Sanò 3, al termine dell'incontro con lui, mi chiedeva delle medicine perché ha dolori nel corpo. Gli ho risposto che deve andare a farsi una visita dall'infermiere di Baro, e solo dopo lo potrò aiutare con le medicine. E' una frase detta tante volte, ma tante volte le persone vanno dai loro "curanderi" e non all'ospedale. E lui che fa?
Questa mattina, dopo la catechesi di Liman, trasporto un giovane all'ospedale di Baro. Arrivo e mi trovo proprio lui, il capo-villaggio di Sanò 3 che, con fatica, è arrivato a Baro con la bicicletta. Però è preoccupato: le medicine che l'infermiere gli ha prescritto, per disinfettare l'intestino da parassiti, non si trovano a Baro. Prendo in mano il foglietto e gli dico: "Te le trovo io a Bigene, le abbiamo tutte al Centro Nutrizionale".
Adesso, ditemi voi, la immaginate la sua risposta?
Io lo so che non ci crederete, perché mi sembra tutta una storia impossibile: lui che ha questo foglietto in mano e si dirige sconsolato verso il suo villaggio senza medicine, e io che arrivo proprio in quel momento....
Ecco cosa mi dice: “TE LO AVEVO GIA' DETTO IERI: IL CIELO TI HA MANDATO. NON CI CREDI???”.
Domani gli porto le medicine in casa: volete scommettere cosa mi dirà?

25 Gennaio 2014
Gesù ha ribaltato Saulo e lo ha fatto diventare il più grande evangelizzatore della storia. Ribaltaci, Signore!
Oggi, festa della Conversione di S. Paolo, prima catechesi al villaggio di Samudje. Non poteva mancare la foto ricordo. Il gruppo non è numeroso, ma potrà solo crescere: hanno dimostrato la volontà di compiere bene il cammino verso il Signore, e il catechista Uié (in piedi, il primo uomo a sinistra) è ben preparato per accompagnare queste persone. La maggioranza della popolazione del villaggio è di religione musulmana: ci siamo parlati con grande rispetto reciproco, e loro stessi sono contenti che queste persone si mettano in preghiera verso Dio (come amano dire i musulmani). Li affido alla vostra preghiera: sono proprio all'inizio di tutto, il viaggio sarà lungo. Il viaggio sarà una scoperta continua dell'amore del Signore!

31 Gennaio 2014
Nel mese di gennaio 2014 presso il Centro di Recupero Nutrizionale della missione di Bigene, abbiamo aiutato 27 bambini denutriti, 54 bambini gemelli, 8 bambini orfani, per un totale di 89 bambini. Abbiamo aiutato anche 52 mamme in gravidanza e 64 mamme con difficoltà di allattamento, per un totale di 116 mamme. Le persone aiutate sono in tutto 205. Grazie a tutti gli amici che ci aiutano ad aiutare.

02 Febbraio 2014
Termino la catechesi a Sanò. Sono le prime catechesi, siamo proprio all’inizio, al primo anno di evangelizzazione. Queste persone di Sanò sono proprio brave: puntuali, preparano bene il luogo dell’incontro, arrivano con gioia provenienti a piedi anche dai villaggi vicini.
Non sanno pregare, ovviamente. Ripetono le mie parole e i miei gesti, come dei piccoli bambini che imparano dalla maestra. A volte sono anche commoventi nei loro atteggiamenti, come quando metto le mani giunte durante la preghiera, e anche loro mettono le mani giunte, guardandosi tra di loro per verificare se compiono bene il gesto.
Mi fermo a parlare con alcuni uomini e vedo sul fondo della “chiesa” un gruppo di donne che rimangono sedute, in cerchio. Loro chiamano “chiesa” il luogo della catechesi: sotto un grande mango, hanno realizzato dei divisori con delle strisce di bambù, e dentro non c’è niente, solo lo spazio per sedersi. Ognuno porta da casa il suo sgabellino di legno, per sé e per chi viene da fuori.
Le donne sedute in cerchio attirano la mia attenzione. Mi accorgo che stanno ripetendo assieme il Segno della Croce. Non sono sicure se devono portare la mano prima sulla spalla sinistra o sulla destra. Capisco che vogliono fare bene questo segno della fede, e fanno assieme delle prove. Poi decidono che la mano deve essere portata prima sulla spalla sinistra. Due di loro mi guardano, come per ricevere approvazione, e rimanendo al mio posto faccio segno che è giusto come hanno fatto. Velocemente si comunicano che così si deve fare, e ripetono assieme il Segno della Croce. Una, due, tre volte. Hanno capito, sono felici, e non lo dimenticheranno più.
Nel mio cuore le benedico, con tanta riconoscenza: mi stanno insegnando che devo fare bene il Segno della Croce, senza fretta, pensando bene a quello che sto dicendo e facendo.
Se ti può essere utile questa piccolissima testimonianza che arriva da un villaggio africano, quando fai il Segno della Croce, pensa che stai comunicando con Dio!

10 Febbraio 2014
Villaggio di Baro. Dentro la "nuova" scuola di Baro per i bambini piccoli dell'asilo. Ma riuscite a leggere bene sulla lavagna? Hanno già imparato a contare fino a 30! La scuola è quello che è, ma i bambini sono bravi bravi!





18 Febbraio 2014
Quando apro la chat, succedono sempre nuovi incontri, alcuni veramente belli e positivi. Persone che non sento da molti anni, e che usano il profilo dei figli per comunicare con me..... e che mi ringraziano..... E io che cerco di ricordare i loro volti, il tono della loro voce, le espressioni dei loro occhi.... mi sforzo di capire da ogni loro parola come potevano essere allora e come sono adesso.... Poi succede che vado in crisi quando mi dicono, alla fine dei saluti: "Un bacio a tutti i tuoi bambini!". Ma vi rendete conto che dovrei mettere in fila 5.000 bambini???

21 Febbraio 2014
Che gran dono di Dio è la vita !!!!! E' nato in macchina, davanti a me. Non sono riuscito ad arrivare a Bigene: ha deciso di nascere per strada. Gioia e lacrime si mischiano nel dono della vita: è nato Ivo 17.
...
Sono una bambina e mi chiamo Fatu. Sono arrivata troppo tardi al Centro di Recupero Nutrizionale di Bigene. Ero nata il 4 gennaio 2012, nel villaggio di Simbor. Stavo bene nei primi mesi, poi è iniziata la denutrizione. Sempre più grave. Sono arrivata qui al Centro l'11 febbraio, dieci giorni fa. Suor Nella ha subito organizzato il mio ricovero presso il Centro per bambini denutriti di Ingoré, dove ho ricevuto le prime cure. Ma non sono state sufficienti. Oggi sono salita al cielo: guarderò tutti i bambini dal Paradiso. Io non ho più bisogno di cure, adesso. Fate una preghiera per la mia mamma e grazie per quello che fate per tutti gli altri bambini denutriti.




Ho ricevuto notizie: la mamma di Fatu ha la tubercolosi. Molto probabilmente anche la bambina aveva la tubercolosi, ma nessuno aveva pensato di farla visitare da un vero medico.
...
537. A fine febbraio possiamo fare un piccolo calcolo. 537 sono le persone, in maggioranza giovani, che ricevono la mia catechesi settimanale (non sono contati i bambini, a volte molto numerosi anche loro!). Non sono tutti presenti ogni settimana, e alcuni di loro, per motivi di scuola o di lavoro, hanno segnato poche presenze in questo anno pastorale (le catechesi iniziano a fine ottobre, dopo la Giornata Missionaria Mondiale e terminano durante il mese di giugno). Le catechesi sono molto diversificate: ci sono villaggi che sono all'inizio (come Sanò) e altri che hanno già compiuto un buon cammino. Mi sembra che il numero delle persone che hanno “segnato” il loro nome per diventare cristiani sia un bel numero. Calcolate che queste sono solo le mie catechesi, ma poi ci sono anche gli altri catechisti, che offrono altre catechesi in altri villaggi.
Nel dettaglio, ecco dove annuncio Gesù il Salvatore e le persone iscritte:
+ Liman: 52 persone al sesto anno di pre-catecumenato;
+ Baro: 107 persone al quarto anno di pre-catecumenato;
+ Bigene: 14 persone al primo anno di preparazione alla Cresima (di Bigene, Farea, Bambea e Indaià);
+ Talicò: 90 persone al sesto anno di pre-catecumenato;
+ Bucaur: 23 persone al primo anno di catecumenato;
+ Ponta Nobo: 128 persone al secondo anno di pre-catecumenato (di Ponta Nobo, Kubutol, Sarba e Mansacunda ovest);
+ Sanò 2: 105 persone al primo anno di pre-catecumenato (di Sanò 1, Sanò 2, Sanò 3 e Saiam Mandinga);
+ Bigene: 18 persone al primo anno di catecumenato (di Bigene, Senker Ba e Farea).
Nelle catechesi dei pre-catecumeni il numero globale degli iscritti continuerà ad aumentare: a fine anno vedremo dove arriviamo.
Oltre che segnare i numeri delle persone e dei villaggi… invochiamo lo Spirito Santo per loro. E anche per me: annunciare Cristo è una responsabilità grande!

25 Febbraio 2014
E chi dorme stanotte???
Ho fatto tardi, in chat con qualcuno di voi.... Alle 23.00 vado a spegnere il generatore, che si trova staccato dalla casa, appartato, in mezzo a una bella vegetazione. Prima di spegnere il generatore stacco la corrente verso casa, e non mi accorgo di nulla. Sono al buio, con la pila in mano. A terra, nell'angolo sotto l'interruttore della corrente, ci sono dei bidoni vuoti per l'olio del generatore e altre cose. Dopo aver staccato la corrente alla casa spengo il generatore, e solo allora sento un leggero rumore non identificato prima. Giro la pila verso l'angolo della corrente per la casa … e lui è proprio là. Si è alzato "in piedi" (non so come dire meglio) e mi guarda, abbastanza agitato.....
Quando capisco cosa sta accadendo, mi ricordo del grande Pietro Mennea…. Ma dopo 20 metri il fiato è già finito, e Tino, una delle due guardie notturne, capisce subito e mi ferma chiedendomi: “Dov'è??? Lo dobbiamo prendere!!!”.
L’adrenalina che mi ha fatto saltare fuori dalla casetta del generatore mi lascia una pausa per capire che non possiamo lasciarlo là. Ma avviso Tino: “Guarda che è grande, è enorme, non ne ho mai visto uno così grande!!!!!". Decidiamo che Tino rimane davanti alla casetta del generatore e io corro a chiamare l’altra guardia, Ensa, munito di fucile. (Apprezzate il mio coraggio???? Invece di chiudermi in casa…). Ci vuole il fucile! Ma subito capisco che non possiamo usarlo! Arriviamo in fretta, alla Fiasconaro per intenderci, e Tino è ancora davanti alla casa del generatore. Non è uscito, sta ancora dentro. Con le pile cerchiamo di guardare dalle finestre per capire dove si è nascosto, e poi lo troviamo in un altro angolo, dietro il generatore. Ma non possiamo usare il fucile: ci sono le taniche di benzina, il contenitore del gasolio, anche le bombole del gas! Insomma: sparare lì dentro…. vuol dire saltare tutti per aria!
Tino ha un’idea: prendiamo la canna alta che la scuola della Missione usa per l’alzabandiera. Sono perplesso…. Quella canna serve alla scuola…. La va a prendere e la porta subito. È bella lunga, ma decidono di tagliarla, per ricavarne una punta rigida. E così fanno! Non mi lasciano nemmeno il tempo per riflettere se è la cosa migliore da fare, e subito Tino armeggia con la canna per cercare di prenderlo, magari di ferirlo. Quello scappa da una parte all'altra: capisce di essere in trappola, e alla fine decide di uscire dalla porta. Apriti cielo! Anche se è notte!!! Sapete cosa fa uscendo? Viene diritto verso di me! Quello ha capito che l’ho tradito: invece di lasciarlo nel suo angolo tranquillo, gli ho combinato tutto questo pandemonio. Ragazzi: in due secondi… che dico! in mezzo secondo decido da che parte scappare, e corro in mezzo agli alberi (chi era il campione dei 110 a ostacoli???). Ma non serve. Grazie a Tino ed Ensa, che hanno coraggio da vendere. Con la canna appuntita e con delle pietre riescono a fermarlo. Puntano alla testa, mentre lui si dimena. Poi arriva il colpo di grazia con quel piccolo coltellino di un metro che tengo nel garage. Non mi viene il nome…. Fa niente. Ritorno indietro. La testa è quasi staccata, ma il corpo continua a dimenarsi. Dicono che è normale così.
Anche Tino ed Ensa, adesso, affermano che è veramente grande. E sono contenti di avergli rotto l’osso del collo (ma il collo ce l’ha?) perché dicono che è proprio pericoloso. È un grosso esemplare di …. Non lo voglio nominare! Un metro e mezzo di lunghezza, grosso come un bicchiere. Come dicono i miei amici a Napoli: “Se ce penso, nun ce posso pensà!”.
E chi dorme stanotte? Mamma mia, sono arrivato a qualcosa come 10 centimetri di distanza con la mia mano. L’adrenalina non mi è ancora passata: beato don Marco che sta a dormire, e che non ha sentito niente del nostro chiasso. Meglio così.
Però mi rimangono due cose in sospeso. La prima: chi di voi può andare per me al Santo, e depositare un bel cero, grosso almeno quanto un bicchiere, per la grazia ricevuta??? Non scherzo, lo chiedo davvero.
La seconda: comprendo che domani riceverò una giusta ramanzina dalle suore che non hanno più la canna lunga per l’alzabandiera alla scuola. Hanno ragione! Però, se penso ai quasi 300 bambini che entrano nella scuola, vicino a casa mia, e che continueranno a giocare sereni e con un pericolo in meno….. sono contento!

26 Febbraio 2014
Volevate vedermi??? Eccomi. Io sono Ivo 17, quello che è nato dentro la macchina di padre Ivo il 21 febbraio scorso. Che storia!!! Ve la racconto meglio tra poco. Intanto godetevi il mio bel viso: in questo momento ho circa 6 ore di vita, e sono avvolto dentro il panno che mia mamma ha preparato per me. Che bella cosa vivere..... Sono contento di avercela fatta, anche se il sedile di "segezia" (l'auto di don Ivo) non era proprio la cosa migliore! Però ci sono! Ciao belli!!!










Eccomi dentro "segezia" per ritornare al mio villaggio di Samodje, che ancora non conosco! La mia mamma, che mi tiene in braccio, è ancora debole, a sole sei ore dal parto avvenuto dentro la macchina. Dietro la mia mamma è seduta la signora che l’ha aiutata quando, finalmente, ho voluto vedere la luce! Al finestrino è il mio papà, tutto contento. Ma che fatica, ragazzi!!!! Non lo so perché, forse perché io sono il primo figlio di mia mamma, forse perché la mia bella mamma è giovane... Fatto sta che non volevo nascere a casa. E dopo tante ore di fatica, per me e mamma, è arrivato don Ivo per portarmi al Centro Nascite di Bigene. A metà strada mi sono deciso: volevo vedere quanto è bianco il bianco, e ci sono riuscito!!! Padre Ivo si è preso uno spavento.... La mia mamma non ha detto niente, nemmeno "Ah", e nessuno parlava. Mamma era seduta dietro, con la testa tra le braccia di mia nonna e le gambe tra le braccia della brava signora che mi ha aiutato a nascere. E quando ho messo la testa fuori..... Don Ivo si è girato un attimo e mi ha visto mezzo dentro e mezzo fuori. Mamma mia come è diventato bianco in faccia il nostro sacerdote!!!! Eppure sono così bello io!!!! Non ci siamo nemmeno fermati: lui continuava a guidare, e io continuavo a spingere. Poi ci siamo fermati alla prima casa. Di corsa, per prendere l'acqua. Don Ivo si è spaventato ancor di più, perché non mi ha sentito piangere.... Per un attimo pensava che io non fossi vivo. Tutte le donne dentro la casa a lavarmi, a lavare la mia mamma. Don Ivo stava fuori, era serio serio, non ho capito se piangeva o se pregava. O forse tutt'e due! Poi mio papà è corso fuori a dirgli: "Ivo è vivo"!. Padre Ivo ha chiesto: "Quale Ivo?". E poi ha capito che mio papà parlava di me, e che mi aveva messo il nome del nostro parroco. Anche se i miei genitori sono musulmani, padre Ivo è sempre il mio parroco, e sono sicuro che mi vuole già un mondo di bene!!!

E poi, che volete... è vero che io sono il 17esimo.... però sono il primo che nasce dentro "segezia", e sono convinto che il don si ricorderà a lungo di me.... Chissà a quanti amici italiani racconterà la mia nascita!!!


28 Febbraio 2014
Questa foto ha una storia che vi devo raccontare. Villaggio di Ponta Nobo, catechesi sul Terzo Comandamento. Chiedo: “Quanti giorni ci sono nella settimana?”. Risponde Monda, uno degli anziani sempre presenti, e che vedete nella foto: “Non lo so quanti giorni ci sono. I giorni li hanno inventati i portoghesi, ma prima non c’erano”. Rimango sorpreso e interessato, e cerco di capire meglio come vivevano quando lui era bambino. Chiedo: “E come facevate a sapere il giorno del mercato?” (Il mercato è un giorno importante per tutti gli abitanti dei villaggi: al mercato si va a vendere i piccoli frutti del proprio lavoro o ad acquistare le piccole cose necessarie per la vita).
Monda: “Una volta non c’erano i mercati. C’era solo la grande fiera, una volta all’anno, nelle grandi città”. Aumenta la mia curiosità: “E dove andavi a comprarti le ciabattine?” (che adesso usano quasi tutti: delle semplici infradito di plastica, prodotte in Senegal).
Monda: “Una volta nessuno usava le ciabattine. Non esistevano! Camminavamo tutti a piedi nudi”.
Io: “E per comprare una camicia, o una maglietta, come facevi?”.
Monda: “Una volta non c’erano le camicie. Se qualcuno doveva andare in viaggio fuori del villaggio usava l’unica camicia in dotazione a tutto il villaggio. Quando ritornava la riconsegnava e un altro la poteva riutilizzare. Era sempre quella”. Capite che la mia curiosità aumenta… “E come facevi con i pantaloni?”. Monda: “Non esistevano i pantaloni, quelli li hanno inventati i portoghesi! Una volta tutti usavamo il lope”. E qui Monda tenta di spiegarmi cosa è il “lope”, ma siccome lui parla poco in criolo, e io faccio fatica a capire cosa possa essere questo “lope”, lui aggiunge con aria da professore attempato: “Quando vieni la prossima settimana te lo faccio vedere!”.
Ed ecco la foto: il mio amico Monda con i vestiti usati nella tradizione dalla etnia dei “Balanta”.
Il lope è un semplice panno che riveste i fianchi della persona, ed era l’unico “vestito” indossato nei tempi passati. Poi Monda mi spiega che il lope, di notte, era usato per ricoprire i bambini che avevano freddo. Poi, di primo mattino, il papà se lo riprendeva, si cingeva i fianchi, ed usciva per iniziare la sua giornata. Così lui ricorda il suo papà, e così faceva anche lui quando era giovane. 
L’altro panno che vediamo nella foto è un panno “moderno”, per coprire le spalle e riparare la testa dal sole. Il copricapo rosso in testa indica che la persona ha terminato tutti i riti di iniziazione della sua etnia, e quindi è da considerare un adulto della comunità, da rispettare in tutto quello che dice.
Altro strumento antico, ma ancora attualmente molto usato, è il coltello che sta dentro il contenitore variopinto, vicino alla mano di Monda. Con una cordicella attorno alla vita, sempre a portata di mano! Un bel coltello serve a tante cose: per lavorare, per mangiare, per difendersi. E poi piedi nudi, perché così erano tutti. E questo è tutto: non c’erano altri indumenti e si risparmiava sul sapone per il bucato!!!
Ecco a voi la lezione del mio amico Monda. Aggiungo due considerazioni finali:
+ ammirate i colori vivi di questa gente….
+ Monda, adesso, conosce il Terzo Comandamento. Dopo tanta strada nella vita, non lo vuole dimenticare. Vero che anche tu non l’hai dimenticato???

04 Marzo 2014
Ho avuto conferma, adesso, che quattro carissimi amici di Cervarese S. Croce (Padova), mio paese natale, si organizzano per venire a Bigene ad agosto. Queste sono notizie che fanno bene!

15 Marzo 2014
Baro è il villaggio più grande della Missione di Bigene. La comunità cristiana è in continua crescita, arricchita anche dalla presenza dei nuovi cristiani dei villaggi vicini. Necessita la costruzione di una chiesa per le celebrazioni, per la catechesi, per la preghiera. Sarà un’impresa consistente e importante: seguiteci per vedere le tappe di questa realizzazione... E che il Signore ci aiuti!
Il Vescovo di Bissau, dom José, ci aveva invitato a pensare alla costruzione della chiesa per la comunità di Baro. E noi vogliamo pensarci con lui! Fatte le verifiche all'interno della comunità cristiana, individuato il terreno da acquistare, adesso dobbiamo definire bene quanto terreno serve, pensando anche ai tempi futuri: Baro potrebbe diventare una nuova Missione, bisognosa di spazi per realizzare non solo la chiesa, ma anche altri edifici come la scuola, la casa per i missionari, il Centro di Salute.... Guardare ai tempi futuri è indispensabile per compiere bene i primi passi. Qui il Vescovo effettua la visita del terreno individuato dalla comunità, accompagnato da alcuni adulti della comunità cristiana. Desideriamo accogliere il suo discernimento.

Dom José ci indica un esempio concreto: la confinante Missione di Ingoré (a 22 km da Baro). Quando fu acquistato il terreno per quella Missione, circa 30 anni fa, si pensava fosse più che sufficiente. Invece, nel tempo, le suore hanno dovuto costruire molte opere al di fuori del loro terreno, ed opere importanti come il Centro Nutrizionale con un piccolo Ospedale per i bambini denutriti, il Liceo per gli studenti. Il consiglio del Vescovo è di acquistare un terreno più esteso, se possibile, per non pensare solo alla chiesa da costruire, ma per pensare a quello che potrebbe essere utile ad una futura Missione in questo villaggio, posto al centro di molti villaggi che hanno iniziato la prima evangelizzazione da pochi anni, e che continueranno a crescere. L'invito del Vescovo, dunque, è quello di pensare non solo a noi, ma anche ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli. Le parole illuminate di dom José hanno trovato tutti i presenti molto attenti e concordi su questo discernimento. In questo mese abbiamo verificato come poter allargare l’area del terreno da acquistare, e i confinanti sono disposti a cedere i loro terreni per il bene di tutta la comunità. Un bel segno di comunione!

La foto del gruppo che si è riunito con il Vescovo di Bissau. In basso, il legno verticale infisso nel terreno segna uno dei quattro angoli della sua superficie. Lo spazio individuato arriva in fondo fino alla coltivazione del cadjù. Attualmente il terreno non è lavorato: è pronto per essere acquistato.


16 Marzo 2014
È già ripartita per l’Italia, ma la sua visita alla Missione di Bigene è stata importante per tutti noi. Suor Gdlan, originaria del Brasile, delle Suore Oblate del S. Cuore di Gesù, è rimasta con noi una decina di giorni, condividendo con semplicità le nostre attività. Di poche parole, ma attenta a guardare la nostra vita, in modo particolare delle sue consorelle Oblate.
Solo quattro domande, con risposte molto brevi e precise, che lasciano il segno anche a noi missionari di Bigene.
1. Cosa pensi della Missione di Bigene?
Questa Missione è importante. Vedo molta evangelizzazione, ma vedo anche molta promozione umana che è necessaria per accompagnare l’evangelizzazione.
2. Le suore Oblate sono a Bigene da più di 21 anni. Come le hai trovate?
Molto impegnate nella missione. Non è una missione facile, ma vedo che sono ben animate nel lavoro della missione.
3. La comunità cristiana di Bigene è piccola e ancora all’inizio del suo cammino. Come vedi questa nostra comunità?
Non ho visto molto, ma ho incontrato un bel numero di adulti che partecipa alla Messa quotidiana. Per me è un segno di un buon lavoro pastorale che dà già i suoi frutti.
4. Adesso che torni in Italia, cosa ti porti da Bigene?
La povertà di questo popolo, per me, è molto forte. Vedo che le persone vivono con il minimo indispensabile: questo sta segnando molto la mia sensibilità.
Grazie suor Gdlan, buon viaggio, e buon lavoro a Roma. Anche il lavoro nel Consiglio Generale delle Suore Oblate e nella formazione delle Juniores è una bella missione nel Regno del Signore. E un saluto grande alle 14 Juniores (sono le suore che hanno già emesso i voti temporanei, in preparazione ai voti perpetui, provenienti da Italia, India e Nigeria): racconta loro della nostra Missione, in attesa di nuove collaborazioni per i tempi futuri! 
Nella foto, assieme a suor Merione (a destra).

19 Marzo 2014 (Festa del papà)
Grazie, papà ! Mi hai trasmesso la vita e la fede. Non c'è niente di più grande che potevi fare per me.... E grazie anche a mamma. La stessa cosa....













22 Marzo 2014
E la torta è arrivata !!!! E anche il Vescovo di Bissau ! E anche i vostri auguri ! Grazie a tutti.
Un pensiero particolare a mamma Michelina e papà Angelo, alle mie sorelle e a mio fratello. Alla mia Cervarese S. Croce (Padova) e al Don Bosco di Verona. Agli amici di Padova, Verona, Vicenza, Salerno, Roma, Milano, Foggia che hanno condiviso con me un pezzo della mia vita. Alle comunità cristiane delle parrocchie Madonna delle Vittorie (Massa della Lucania, Salerno), Immacolata di Fatima (Segezia, Foggia) e S. Ciro (Foggia) che mi hanno sopportato come parroco. Vi mando la mia benedizione.
A 58 sono arrivato. Se il Signore vuole, arriverò anche a 59!

26 Marzo 2014
Villaggio di Liman. Sono rimasto impressionato dalla scelta di Adama, il giovane che ha dipinto sui muri esterni della sua casa queste due scritte molto significative, copiandole da alcune in lingua francese (che si parla nel vicino Senegal). A parte gli errori (che qui non fanno problema), sulla sinistra della sua finestra ha scritto: "CREDERE, SPERARE, AMARE COME MARIA". E a destra: "CRISTO PAROLA, PANE DI VITA PER UNA NUOVA AFRICA".
A me piace assai questa scelta di dipingere la sua casa comunicando la sua fede.

28 Marzo 2014
Villaggio di Bucaur. La foto non riguarda una liturgia, ma esprime uno spirito di offerta a Dio. L'uomo più anziano di Bucaur è morto, improvvisamente, senza apparente malattia. Dopo il funerale partono le danze, che le donne iniziano toccando un bidone di plastica e battendo le mani, con il canto tradizionale. Così si ringrazia Dio per la lunga vita che ha concesso all'uomo anziano. Non ci sono lacrime, ma c’è un senso di festa generale. Una vita lunga, è un dono di Dio. Perché piangere?
...
A commento della mia foto di donne in festa dopo il funerale di un uomo anziano, e comprendendo la fatica che in Europa può creare questa esperienza, ho condiviso questa mia riflessione. Molto libera e personale. Parla della morte e della vita. Molto più della vita che della morte.
Nella cultura della Guinea-Bissau c'è una consapevolezza che non ho trovato presso altri popoli, a riguardo della vita benedetta da Dio. La mortalità, qui, è altissima: si muore al parto, per parto, per denutrizione, per malaria, per un sacco di malattie non curate o trascurate. L'età media di vita è di circa 41 anni, la metà di quella italiana. Quando una persona vive a lungo, come questo vecchietto che, probabilmente, aveva superato gli 80, tutti respirano una situazione culturale e umana molto distante dalla nostra mentalità europea.
Cerco di essere sintetico: se una persona vive a lungo, vuol dire che ci sono due elementi fondamentali che si intrecciano tra di loro. 
1. La persona vive a lungo perché gli spiriti buoni vegliano sulla sua vita. 
Metti assieme questi due elementi, e ti rimane l'idea che un anziano è una persona protetta da Dio, ed è protetta da Dio perché se lo merita. Ovviamente questo è il loro pensiero. Sappiamo bene, nella stessa storia della spiritualità cristiana, che ci sono dei santi morti da ragazzi, o da giovani (Domenico Savio, Pier Giorgio Frassati, per esempio). E sappiamo che ci sono persone con età avanzata che non sono proprio dei testimoni di vita.... Ma ti posso dire che qui, questa consapevolezza, produce due effetti molto buoni:
1. L'anziano sa di essere benedetto da Dio, e vive con serenità, e si impegna ad essere testimone di vita per i giovani. E succede veramente così! 
2. Tutti rispettano gli anziani: mancare di rispetto a un anziano sarebbe una gravissima colpa, causa di disonore. 
Allora, con tutto questo, quando muore un anziano c'è un grande clima di festa: è come se tutti volessero esprimere la loro gioia per essere stati in compagnia di una persona brava e benedetta da Dio. Esperienza lontanissima dalla nostra mentalità, ma ti posso dire, personalmente, che io vorrei morire qui!
Spero di diventare più anziano (lo sono già per loro), ma spero anche di guadagnarmi la benedizione del Signore per il mio comportamento. E poi, quando finisce la mia vita qui, tutti a fare festa! Perché, se entro in Paradiso (perdonami l'ardire, e prega per la mia conversione!!!!), chi non fa festa è come se volesse mandarmi al Purgatorio (e quanto ne dovrò fare!!!!!). 
Fate festa quando muoio, e mi mandate direttamente in Paradiso!
Se vengo a morire a Foggia, tutti a piangere, tutti a dire le solite cose scontate.... "quanto eri bravo..... nessuno come te..... ci mancherai per sempre...." (le dicono solo quando uno muore).
Io vorrei veramente morire a Bigene. Non scherzo. Una bella festa, con canti e danze e gioia per tutti, e anche un buon vino di palma, per stare allegri (ci sta!). 

E' solo il mio pensiero, che nasce dall'incontro con queste persone. Alla fine, ieri sera, nel mio cuore dicevo: “Grazie, Signore, per questo vecchietto: gli hai dato una lunga vita, e adesso prendilo con te in cielo!”.